Da quando Resident Evil 7 ha messo piede sulle nostre piattaforme il genere cosiddetto survival horror si è ripreso molta della reputazione persa nel corso di anni passati a farsi contaminare, per non dire fagocitare, da generi dalle assonanze alle volte forzate (action su tutti).
Poche munizioni, pianificazione di ogni passo e la necessità alle volte di evitare l’ingaggio con i nemici sono fattori familiari a chi ha vissuto l’esplosione del fenomeno Biohazard, e prima di esso di Alone in the Dark.
Linked Rooms Games, software house italiana da poco fondata, con il suo primo progetto Fleshforward ha deciso, prima che fosse pubblicato RE7, di progettare qualcosa che riportasse le atmosfere angoscianti e piene di suspense dell’origine del genere, mixandole con una grafica in 16 bit tecnologicamente avanzata e una narrativa fortemente ispirata dalle trame tipiche dei giochi di ruolo.
Un progetto ardito che, dopo mesi di lavoro, ha portato a una demo disponibile per tutti gli utenti, che abbiamo potuto provare. Dopo aver intervistato in esclusiva i due sviluppatori, qui di seguito vi riporto le prime sensazione avuto durante la mia prova della versione 2.0 della demo di Fleshforward.
Il mistero di New Wells
Come accennato nell’intervista già menzionata, la storia di svolge nell’immaginaria cittadina americana di New Wells, in cui l’agente di polizia Seph Garret ritorna, trovandola apparentemente deserta e sconquassata da una sconosciuta calamità. Tanto sangue, strani rumori e figure misteriose condiranno i primi minuti e tentativi di Seph di scappare da questo orrore misterioso. A contorno di questa vicenda c’è una misteriosa donna che comunicherà con Seph tramite una radio ispirata al codec di Metal Gear.
La demo termina proprio con il dialogo tra la ragazza e il poliziotto e fa da premessa a quella che sarà la trama offrendo anche uno spaccato di meccaniche e comandi. L’accenno alla trama offerto da questa versione di prova è breve, ma utile a inquadrare facilmente il ritmo e le influenze e richiami presenti in essa.
Come in molti survival horror, il ritmo è lento ed enfatizza la suspense e l’ansia date da una città post-apocalittica ferma nel tempo e dai misteri che essa contiene. L’ambientazione ha qualche analogia con Resident Evil 2, ma, data la brevità della demo, potrebbe essere solo un’analogia apparente. A detta degli sviluppatori ci sono tante citazioni a serie non solo videoludiche e sono molto curioso di vederle tutte.
I dialoghi, in lingua inglese, sono realizzati con finestre a schermo molto simili a quelle usate nei JRPG. I testi sono chiari e accompagnano bene le fasi di intermezzo anche se forse in alcune parti non sono accompagnati da un’adeguata movimentazione dell’azione.
16 bit dinamici
Lo stile grafico a metà strada tra 16 bit e 32 bit, realizzato in modo da essere molto fluido nonostante l’utilizzo di pochi pixel, è un’arma a doppio taglio di questa produzione: da un lato questa scelta dimostra quando la pixel art possa esaltare alcuni passaggi e personaggi proponendo un buon compromesso tra le forme stilizzate degli oggetti e lo spronare l’utente a immaginare la loro forma reale; dall’altro la poca definizione degli elementi, molto spesso non permette di distinguere al meglio gli elementi su schermo e in alcuni casi il recupero di pallottole o altri oggetti pare sia un po’ troppo casuale. Un’aura anche minima attorno agli oggetti importanti potrebbe essere utile ad agevolare l’azione non costringendo il giocatore a vagare per le stanze premendo il pulsante azione vicino ad ogni porzione di muro o ad ogni cartaccia sul pavimento.
Per di più in alcuni frangenti l’interazione con lo scenario è parsa ancora un po’ acerba e frammentata, soprattutto con alcuni alcuni oggetti con i quali, nonostante la loro vistosa presenza, non è possibile in alcun modo interagire.
Gradevolissimi gli effetti di luce che si integrano benissimo con lo scenario. Il comparto sonoro per ora pare abbia luci e ombre con campionature e tracce sonore ben composte, ma in alcuni casi un pelo ridondanti, una sensazione, quest’ultima, forse dovuta alla sostanziale brevità della demo. La versione definitiva potrebbe dare impressioni completamente diverse. In ogni caso è ancora presto per valutare questi due aspetti nella loro completezza.
Non chiamatelo Resident Evil
Benché le analogie con la serie Resident Evil siano spesso visibili, Fleshforward ha dalla sua meccaniche survival, ma anche stealth che, oltre ad una forte spinta narrativa dettata, come detto, da alcuni elementi tipici dei titoli JRPG, lo rendono per certi versi unico.
Evitare gli zombie non è solo questione di rapidità, ma alcune volte di pianificazione del percorso e delle zone da attraversare. Basti pensare che anche il solo calpestare una carta a terra potrebbe produrre un rumore tale da attirare l’attenzione dei non morti, benché la loro IA sia in pieno stile zombie al primo stadio, con percezioni cognitive e movimenti molto scomposti.
Un elemento che ci è piaciuto molto è la presenza della stamina, che ci permette di correre solo per brevi tratti costringendoci a tenere la fuga a scavezzacollo come ultima soluzione. Altro elemento molto piacevole, e familiare per i giocatori di vecchia data, è il ritorno delle Safe Room, stanze nelle quali è possibile non solo salvare, ma anche recuperare energia (azione realizzabile solo ogni 30 minuti), immagazzinare oggetti in casse, modificare e migliorare l’equipaggiamento.
In questa prima prova ho notato che la mappatura dei comandi appare un po’ farraginosa e le azioni in gioco un po’ legnose, ma sembra far tutto parte di quel desiderio dei due sviluppatori di mettere in piedi un gioco che rievochi anche il feedback tipici delle produzione a cui si ispira.
La speranza divampa
Come scritto nella premessa, il rimando agli albori e a canoni di successo del genere survival horror della prima ora è forte, ma gli elementi di contaminazione con altri generi ne fanno un prodotto interessante e pieno di potenziale appeal.
Risolvendo qualche piccolo neo di gioventù potremmo vedere questo prodotto magari lottare per mettersi in mostra anche con i più grandi e, perché non, vincere anche qualche premio. Le idee ci sono e lo sviluppo mostra un’ottima base di partenza.
La speranza è che la dedizione di Linked Rooms Games porti ad un prodotto di qualità, non solo per il prestigio di questa software house, ma anche per mettere ancor più in mostra le qualità del mercato italiano degli sviluppatori.