Quando (mentre lavoro) sento gridare da un’improbabile vecchietta “vattenne da casa mia!”, mi si riempie la serata, almeno per poco. Sono qui che aspetto da secoli quattro clienti, che forse nel frattempo sono stati risucchiati da un wormhole, e intanto ne approfitto per scrivere il secondo numero della mia rubrica sui titoli Android giocati e quelli PS3 messi in pausa a casa.
Fallout Shelter #2
Tra i titoli Android giocati, mi ero completamente dimenticato di Fallout Shelter, il titolo gestionale in tempo reale di Bethesda, basato sull’universo di Fallout. Che dire, ho passato delle piacevoli ore a giocarci. È interessante l’idea di gestire un proprio vault invece di impersonare il solito abitante sconosciuto di uno di essi.
Da fan della serie, la domanda sorge spontanea: cosa cavolo fanno gli abitanti del vault mentre aspettano l’eroe che dovrebbe tornare a salvarli tutti? In questo senso Fallout Shelter pone risposta a quella domanda (che forse mi sarò posto solo io nel mondo).
Lo scopo del gioco ripercorre la falsa riga di The Sims, ossia costruire un vault che faccia in primis la felicità dei suoi abitanti, oltre che sia bello da vedere. Da una manciata di abitanti, l’obiettivo del giocatore sarà quello di attirarne di nuovi, farli moltiplicare e costruire stanze in cui farli lavorare, ottenendo così risorse fondamentali per la sopravvivenza dell’intero vault (come acqua, cibo ed elettricità).
Gli abitanti avranno una barra della salute ed una dell’esperienza, inoltre ogni abitante avrà delle S.T.A.T.S. diverse, quindi, a seconda della propria predisposizione, un lavoratore sarà più utile in una determinata stanza piuttosto che in un’altra, aumentando di conseguenza l’esperienza e il livello. Ad esempio, persone con forza elevata produrranno maggiore elettricità oppure persone con elevata intelligenza produrranno Stimpak più rapidamente in infermeria. Le S.T.A.T.S. potranno essere aumentate con la costruzione di stanze di allenamento apposite, tra cui vere palestre e aule di studio.
Il vault non sarà isolato dal mondo e sarà possibile inviare gli abitanti nella c.d. zona contaminata in cerca di risorse, altrimenti non ottenibili attraverso la produzione interna (come armi, armature, tappi ecc.). Inoltre, più tempo uno o più abitanti resteranno nella zona contaminata, più risorse, oggetti ed EXP riusciranno a ottenere.
Occorrerà però prestare attenzione alla salute dell’esploratore che potrebbe rimetterci le penne, scontrandosi con nemici e animali. In caso questo accada, basterà resuscitare l’esploratore con i tappi di bottiglia, la moneta di gioco utilizzata anche per la costruzione delle stanze e per il loro miglioramento.
Così come gli abitanti potranno mettere la testa fuori dal vault, anche i predoni (o peggio i Deathclaw) potranno di contro invadere il vault, creando scompiglio nella struttura, ferendo o uccidendo gli abitanti e rubando nel tempo le risorse principali. Una volta sconfitti gli invasori la situazione si stabilizzerà, tuttavia il giocatore dovrà fare i conti con i danni causati dall’assalto, resuscitando i morti in cambio di tappi e curando i sopravvissuti con gli Stimpak.
Potrei dilungarmi anche su altri aspetti, come le carte da gioco sbloccabili o gli obiettivi da completare per ottenere tappi extra, tuttavia non aggiungerebbero nulla se non parole inutili da leggere.
Per sommi capi questo è Fallout Shelter, un gioco gestionale in cui ognuno dimostra di averlo più grande (il vault). Considerando il limite massimo di 200 abitanti per vault (massimo tre), contro la possibilità di costruire numerose stanze (che però rimarrebbero inutilizzate), è forse a quel punto che si fa un pensierino sulla disinstallazione, cosa che io personalmente ho fatto a circa 150 abitanti.
In sintesi, basterebbe la costruzione di una stanza ottimizzata per ogni tipo, per farsi un’idea della ripetitività (alla lunga) dell’azione. E’ passato un po’ da quando l’ho giocato, quindi, magari, le recenti patch hanno alzato l’asticella dei 200 abitanti massimi.
P.S. il mio primo vault è fallito miseramente sotto il peso della scarsità delle risorse, con conseguente moria degli abitanti. Al secondo round avevo tutto sotto controllo, fatta eccezione per l’abitante Michael Myers, ma in realtà credo fosse Mayer.
Lightning Returns: Final Fantasy XIII #2b
Tanto per cambiare soggetto, come secondo argomento di discussione, posso dire che ho da poco platinato (sì, sono uno di quei fanatici) Lightning Returns: Final Fantasy XIII per PS3.
Lo so, non ditemi nulla, oltre ad essere datato è anche l’unico Final Fantasy ad essere a tempo, come se gli sviluppatori avessero avuto altro da fare mentre lo sviluppavano (infatti Final Fantasy XV è in cantiere da una vita, insieme a Kingdom Hearts 3 e altri in arrivo).
Giustamente la novità non è solo il gioco a tempo tipo Dead Rising 2, ma che ad ogni nuovo titolo del tredicesimo capitolo i personaggi giocabili si riducono di uno. Infatti in Final Fantasy XIII il party era di tre personaggi modificabili; in Final Fantasy XIII-2 erano due, Noel e Serah; e per chiudere in bellezza, in Lightning Returns: Final Fantasy XIII c’è solo Lightning come personaggio giocante, affiancata di tanto in tanto da qualche personaggio di supporto.
Questo capitolo, più di tutti, non spicca per l’originalità, in quanto lo definirei un copia-incolla di Final Fantasy XIII e Final Fantasy XIII-2. Magari in Final Fantasy X-2, nonostante la trama scialba, l’idea degli assetti era forte, ma in Lightning Returns sembra ancor più una presa in giro e sinonimo di scarse idee, della serie “e che cavolo ci mettiamo in questo capitolo?”.
Tant’è che anche uno dei punti di forza della serie rasenta zero creatività, ossia le Original Soundtrack, spesso copiate dai precedenti capitoli. Per carità, sempre stupende, ma portarsele dietro per tre capitoli di fila mi sembra un po’ troppo.
Nonostante lo abbia demolito su tutti i fronti, in fondo Lightning Returns: Final Fantasy XIII non è proprio da buttare. Il battle system risulta dinamico e parzialmente diverso rispetto ai precedenti (per via dei numerosi assetti da provare e combinare in battaglia con le relative abilità), anche se a livello di gameplay vero e proprio lascia molto a desiderare.
L’obiettivo del giocatore è quello di correre a destra e a manca, in cerca di missioni di raccolta e di caccia, al fine di collezionare sufficiente Eradia per far progredire il gioco fino al tredicesimo giorno. Inoltre il titolo è strutturato più sulla rigiocabilità che non sull’offrire un’unica avventura coinvolgente, che invece risulta frammentata in cinque mappe e senza un nesso logico che le unisca. In questi mondi si faranno nuovamente vivi tutti i personaggi del tredicesimo capitolo e del XIII-2, anche se nessuno gliel’aveva chiesto.
Per quel che mi riguarda, Lightning Returns: Final Fantasy XIII è stato solo un ulteriore contentino per i fan, in attesa di mettere le mani sul più nuovo e particolare Final Fantasy XV.
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