Detroit, 2038
Gli androidi vivono insieme agli umani e svolgono i lavori più umili trattati spesso e volentieri come pure e semplici macchine. L’economia della città si è ripresa da tempo dal tracollo dell’industria automobilistica grazie a Cyberlife, la prima azienda a realizzare degli androidi capaci di relazionarsi con gli umani.
La peculiarità di questa gigantesca corporazione è stata quella di produrre dei robot dalle sembianze umane capaci di effettuare qualsiasi tipo di lavoro. Soprattutto quelle tipiche attività che il genere umano, che ha raggiunto un benessere quasi globale non vuole più fare. Ogni androide è programmato per eseguire la sua mansione pur mantenendo un approccio umano ad essa, diventando così in breve tempo insostituibile data la mancanza di necessità di pause lavorative.
Detroit: Become Human è come una finestra sul futuro di quello che potrebbe diventare il nostro pianeta. Gli umani fortunatamente non saranno ancora estinti, ma vivranno in simbiosi con gli androidi ed i devianti che ci accompagneranno nella nostra storia.
Il titolo di Quantic Dream si snocciola su una trentina di capitoli, ma seguirà un percorso non lineare. Avremo come protagonisti tre androidi: Kara, Connor e Markus. Il primo, Kara, lavora come badante presso un uomo che maltratta la propria figlia Alice mentre il secondo, Markus, fa l’accompagnatore di un ricco artista. Chiude il cerchio Connor, un androide poliziotto che passa il tempo a dare la caccia ai devianti. I tre personaggi sono destinati ad incrociarsi ed a cambiare radicalmente la loro vita creando una serie di eventi e scelte davvero ampie e sfaccettate.
La tecnica prima del gameplay
Raramente in una recensione ci siamo posti il problema di capire in che sequenza analizzare un gioco. Tralasciando schemi vari, che ultimamente hanno perso valore su una scrittura più fluida e priva di vincoli e titoletti, Detroit: Become Human ci obbliga a parlare prima della tecnica del gioco che de puro gameplay.
La regia, la sceneggiatura e la fotografia dell’ultimo lavoro dell’azienda capitanata da David Cage trasuda un lavoro che rasenta la perfezione. L’immedesimazione è quasi totale grazie ad un impianto coreografico a livello cinematografico.
Se la trama del videogame è molto ricca di spunti interessanti la direzione artistica riesce a catturare l’attenzione di quell’utenza dal palato fine, capace di apprezzare scorci di strade o edifici o semplici momenti di empatia tra le persone. Quanto messo in piedi in questa Detroit tra vent’anni è semplicemente fenomenale.
Il comparto grafico di Detroit: Become Human è quindi di alto livello e lo dimostrano anche gli anni di sviluppo del gioco. Tra i tanti pregi c’è sicuramente quello dei volti dei personaggi principali e secondari, la sensazione è quella di controllare persone in carne ed ossa.
Il gioco non si risparmia nell’utilizzo delle ultime tecnologie quali HDR e CheckerBoard Rendering per raggiungere i 4k. Seppur non nativo, il colpo all’occhio è sicuramente degno di nota. Permangono alcuni difetti sui movimenti dei personaggi, decisamente legnosi anche se parliamo di androidi…
Ottimamente implementati gli effetti di gioco relativi alle analisi degli ambienti che ci permettono di valutare al meglio le scelte da fare. Le atmosfere e gli scenari sono molto ricche di elementi anche se perde in prospettiva nelle larghe vedute.Chiude il comparto audio e sonoro di buonissima fattura. Le musiche sono ricercate e ottimamente arrangiate dando il giusto ritmo al gioco. Potremo optare per il doppiaggio dei protagonisti in italiano, ma è consigliabile lasciare la lingua inglese con i sottotitoli in italiano. Ottima la sincronia tra parlato e movimento labbra.
Heavy Rain a Detroit?
A livello di puro gameplay va ricordata la storia dei Quantic Dream. Tutti avranno ben in mente Beyond: Due Anime ed Heavy Rain e, a livello di meccaniche di gioco, Detroit Become Human ne è di fatto un derivato.
Nonostante i passi per migliorare quanto proposto nei titoli precedenti dovremo accontentarci di un gameplay riuscito a metà. Quantic Dream ha scelto una strada convenzionale riproponendo le stesse dinamiche presenti in Heavy Rain. Il gioco quindi si baserà sulla ricerca, analisi degli elementi trovati e scelta, il tutto ben farcito di quick time event per quelli che si possono chiamare momenti d’azione.Detroit: Become Human vacilla di fatto sul ritmo per scelte su un gameplay ancorato fin troppo al passato. Il team di sviluppo avrebbe dovuto lavorare di più su un sistema più attuale prendendosi qualche rischio in più. L’idea è quella che Cage e soci non abbiano voluto alterare l’esperienza cinematografica con meccaniche troppo complesse, ma al netto si paga dazio rallentando fin troppo l’azione.
Il gioco ci metterà davanti a tante scelte molte delle quali segneranno lo svolgersi degli eventi futuri in maniera importante e differente.I finali potranno essere diversi per tutti i personaggi che interpreteremo e, grazie alla possibilità di cambiare il nostro percorso una volta completato il gioco, Detroit: Become Human potrà toccare la cinquantina d’ore di longevità.
Qualche dubbio rimane anche sul mancato supporto alla VR. Il gioco sembra “facilmente” adattabile per una esperienza virtuale considerando lo stato attuale degli sviluppi per le periferiche in questione. Questo permetterebbe non solo di avere un gioco di spessore per il PlayStation VR, ma anche vivere in prima persona quest’opera che sta già lasciando il suo segno a livello di direzione artistica e trama.