Tom Clancy’s Rainbow Six
Tom Clancy, che tutti voi appassionati lettori di thriller fantapolitici conoscerete di sicuro, cominciò la sua carriera di scrittore dopo essere stato escluso dall’esercito per una forte miopia. Il buon Tom non si arrese e, data la sua buona conoscenza del mondo militare e l’amicizia (maturata durante gli anni universitari) con ex presidenti e alte personalità dell’esercito, decise di intraprendere la carriera di scrittore. Inutile dire che fu un successo: in poco tempo il suo “La Grande Fuga dell’Ottobre Rosso” fu un best seller mondiale. Ma cosa ha a che fare tutto questo con i videogiochi e, specialmente con Rainbow Six?
La nascita della Red Storm
Con i guadagni delle sue opere il famoso scrittore decise di entrare nel mercato videoludico, fondando una software house, la Red Storm Entertainment inizialmente poco conosciuta a causa del rilascio di qualche gioco minore. Il team di sviluppo doveva trovare qualcosa di forte impatto. Fortuna volle che in quel periodo (fine anni novanta) Clancy stesse ultimando il suo romanzo Rainbow Six (avete letto bene). Perché dunque non ispirarsi proprio a esso? Così fu e nel 1998 il mondo conobbe Tom Clancy’s Rainbow Six.
Siamo negli anni 90 e dopo la guerra fredda il mondo è costretto a conoscere un nuovo nemico: il terrorismo internazionale. I terroristi sembrano essere in grado di colpire dovunque e in qualsiasi momento o situazione, sono invisibili, organizzati e le forze di polizia locali non possono far nulla se non a tragedia avvenuta. Per questo viene creata l’organizzazione Rainbow, tale unità è conosciuta solo da un pugno di persone e conta tra le sue fila i migliori operatori NATO e di altri paesi, esperti nel recupero ostaggi, raccolta di dati e dotati dei migliori equipaggiamenti. Se la Rainbow scende in campo, cominciate a preoccuparvi.
1998, Rainbow e il nuovo concetto di FPS
Rainbow Six introdusse il concetto di FPS tattico di squadra, e molti giocatori rimasero spiazzati di fronte alle novità introdotte, come l’assenza della barra della vita e dei proverbiali kit medici, le munizioni limitate, l’assenza dei salvataggi durante una missione e, cosa più importante, il realismo.
Come funziona il gioco. Dopo un esaustivo briefing di missione dovrete selezionare il team da schierare con un massimo di 4 squadre da 4 operatori ognuna. Questa fase era molto importante: più personale non è necessariamente un bene poichè avrete sì più potenza di fuoco, ma offrirete anche più bersagli al nemico e aumenterete il rischio di subire perdite.
Dovrete inoltre selezionare i soldati più opportuni a seconda della situazione. Ogni soldato ha la sua biografia e la sua specialità (assalto, cecchino, artificiere, elettronica, infiltrazione) più le classiche statistiche come mira, riflessi, resistenza, ecc. Fate attenzione perché se un soldato dovesse morire in azione non potrete più usarlo per tutto il resto della campagna, ma solo sostituirlo con una recluta anonima. Tuttavia questi soldati, anche se “illimitati”, hanno statistiche decisamente inferiori rispetto agli specialisti (quelli con nome e cognome per intenderci).
Successivamente dovrete scegliere la dotazione per i vostri uomini. Potrete utilizzare quella consigliata o fare tutto da soli. Anche qui è essenziale scegliere in base a cosa dovete fare. Ad esempio in una situazione con ostaggi sarebbe saggio optare per pistole e mitra silenziati, oppure se la missione prevede di affrontare ostili con corpetti anti proiettile dovreste portare dietro armi con proiettili FMJ (Full Metal Jacket) efficaci contro tali protezioni. Qualunque sia la vostra scelta avrete uno slot per l’arma principale (mitra, fucili a pompa e d’assalto o da cecchino), uno per la pistola e due per gli oggetti di supporto (granate flash, a frammentazione, caricatori extra ed esplosivi per far saltare le porte chiuse a chiave).
Fatto questo vi troverete davanti alla scheramata di crezione del piano, per certi versi la più importante del gioco. Qui infatti avrete a disposizione la pianta dell’area di missione (che sarà più o meno accurata) e, dato che voi impersonerete il caposquadra di una delle 4 sotto-squadre (Blu, Oro, Rossa e Verde), dovrete dire agli altri soldati (guidati dalla IA) cosa fare, pianificando un strategia di attacco. Tutto questo è possibile impartendo direttamente sulla mappa le regole di ingaggio e di azione selezionando i punti di partenza dei vari team e stabilendo il loro percorso. Purtroppo per i neofiti questa sezione potrebbe rivelarsi molto ostica, in quanto non è presente nessun tipo di tutorial, a parte un paio di missioni per fare pratica.
Una volta in missione avrete la classica visuale da FPS, anche se effettivamente non vedrete l’arma su schermo ma solo un mirino al centro, con lo stato di salute delle vostre squadre, il soldato attualmente selezionato (potrete in qualunque momento prendere il controllo di un’altra squadra) e altre informazioni circa l’atteggiamento in uso e il compito che stanno svolgendo (scortando ostaggi, ingaggiando, coprendo, ecc). Gli obiettivi delle missioni non sono molto vari: dovrete eliminare tutti i nemici, disinnescare ordigni, salvare ostaggi o, in alcune missioni meno frequenti, infiltrarvi nelle abitazioni dei cattivoni di turno per piazzare cimici e raccogliere prove della loro colpevolezza.
Qualunque sia l’obiettivo però dovrete portare avanti l’operazione con molta, molta calma. I terroristi potrebbero essere dietro ogni angolo e dato che avranno sempre la superiorità numerica sarà molto facile per loro piazzare qualche colpo fortunato sui vostri compagni e mandarli al creatore. Questo perché in Rainbow Six basta una raffica in pieno petto per morire, senza contare l’assenza di salvataggi durante la fase d’azione. Per molti questo potrà essere un difetto, ma è invece la caratteristica che discosta il titolo Red storm dalla massa.
1999, Il sequel con i necessari miglioramenti
Un anno dopo l’uscita del primo insieme all’espansione Rainbow Six Eagle Watch, la società di Clancy sforna il seguito ufficiale, Rainbow Six Rogue Spear, che possiamo considerare come la versione riveduta e corretta del precedente capitolo.
L’ossatura del gioco è la stessa, ma troviamo piacevoli aggiunte come mappe più elaborate, nuove armi, operatori e comandi da usare nella pianificazione, in particolare i codici Go (introdotti nel primo capitolo ma pesantemente rivisti). In breve sto parlando di Alpha, Bravo, Charlie e Delta (ognuno associati ad un tasto) che, se assegnati a una azione durante la pianificazione possono essere usati durante la missione per eseguirla istantaneamente. In questo modo la coordinazione tra le squadre aumenta esponenzialmente.
Il titolo vanta ben 2 espansioni stand alone (giocabili senza il gioco base), Black Thorn (2001) e Cover Ops Essentials (2000), più una terza, Urban Operations (2000). Pur essendo stati concepiti su PC, sono state realizzate anche conversioni e spin off per alcune console con esiti altalenanti. Negativo fu il porting su PS1 di Rainbow Six, Lone Wolf e Rogue Spear (1999-2002). Qui infatti è stata eliminata quasi del tutto la fase di pianificazione (si può scegliere solo la zona di inserimento) e i componenti massimi per squadra sono stati ridotti ad uno. Meglio è andata su Nintendo 64 (Rainbow Six) e Sega Dreamcast (Rainbow Six Rogue Spear) con una fase di pianificazione non snaturata e molto simile alla versione PC. Da segnalare la buona conversione di Rainbow Six e Rogue Spear su Game Boy Color (il primo) e Game boy advance (il secondo).
Tutti gli episodi sono stati pubblicati da Ubisoft che, sentendo il profumo dei soldi, pensò bene di acquistare Red Storm Entertainment e specialmente il marchio Tom Clancy’s.
2003, Squadra che vince non si cambia
Ormai Rainbow Six era riuscito a conquistare una buona fetta di pubblico e gli sviluppatori osarono ancora di più introducendo nuove meccaniche e affinando la formula che garantì il successo del primo capitolo. In questo modo Raimbow Six 3 Raven Shield divenne il miglior Rainbow mai creato. Tra le migliorie più importanti si nota la presenza dell’arma su schermo, waypoint non più su mappa ma visibili direttamente sul nostro campo visivo (per una navigazione più efficace), una serie di tutorial ben fatti per consentire ai neofiti di apprendere le basi.
Altre aggiunte interessanti furono la possibilità di personalizzare le armi con vari accessori (come mirini, silenziatori, torce e altro ancora), una fase di pianificazione semplificata (ma sempre negli standard della serie), un motore nuovo di zecca e il multigiocatore notevolmente migliorato rispetto al passato. Tornano inoltre le tanto care modalità Lupo Solitario, in cui completare la missione utilizzando un solo uomo, e Caccia ai Terroristi, in cui si devono semplicemente eliminare tutti gli ostili.
Se la versione Pc di Rainbow Six 3 è da molti fan considerata la migliore, non si può certo dire la stessa cosa per le versioni console. Rilasciate su Xbox, Ps2 e Game Cube nel 2004, esse presentavano una modalità storia incentrata su 4 membri del team Rainbow: il caposquadra Domingo “Ding” Chavez, l’assaltatore Louis Loiselle, il tiratore scelto Dieter Weber ed Eddie Price (tutti personaggi molto importanti nel romanzo di Clancy). Peccato che fossero gli unici operatori disponibili e che la pianificazione e la sezione di scelta dell’attrezzatura (tranne per Ding, colui che comanderemo) fossero completamente assenti. Sul comparto tecnico Xbox e Game Cube si difesero bene mentre su PS2 la situazione fu decisamente peggiore.
Nello stesso anno arriva in esclusiva Xbox Rainbow Six Black Arrow, seguito ufficiale di Rainbow Six 3 e praticamente identico alla precedente versione. Per la versione Pc venne rilasciato Rainbow Six Athena’s Sword e Iron Wrath (resa gratuita da Ubisoft poco tempo dopo).
L’inizio della fine
Se le versioni Pc di Rainbow Six si sono sempre contraddistinte dalle controparti console per una pianificazione più marcata e in generale per il maggiore realismo, nel 2005 Ubisoft decise di sviluppare le 2 versioni completamente identiche così, Rainbow Six Lockdown arrivò sugli scaffali. Gli utenti PC rimasero non poco delusi poiché si ritrovarono con un titolo insipido e privato del’anima della saga (pianificazione, gestione del team e il tatticismo), rivolto decisamente verso il genere arcade.
Dopo le deludenti vendite di Lockdown, Ubisoft tentò di riscattarsi nel 2006 con Rainbow Six Vegas, il titolo (uscito su PC, Xbox 360 e PS3), ambientato interamente nella città del vizio ebbe un buon successo grazie a qualche novità introdotta come ad esempio l’introduzione delle coperture alla Gears of War.
Nel 2008 Rainbow Six Vegas 2 fa il suo ingresso sempre su Pc, Xbox 360 e Ps3. Come nel suo prequel avremo a disposizione solo 2 compagni di squadra, totalmente anonimi e mai apparsi nell’universo creato da Clancy. Il gameplay è una sorta di copia e incolla del primo Vegas, dovremo farci strada nei casinò di Las Vegas tra furiose sparatorie e qualche ostaggio da salvare, con pochi comandi da impartire al nostro anonimo duo e una serie di equipaggiamenti da sbloccare guadagnando punti in base al nostro stile di gioco (distanza, assalto, esplosivi).
Rainbow Six oggi
Annunciato durante l’E3 2015 Rainbow Six Siege ha promesso di ridare vita a una saga morta da tempo, purtroppo (almeno per i fan di vecchia data) tirando le somme si può tranquillamente affermare che tale promessa non è stata mantenuta.
La campagna per giocatore singolo (da sempre il fiore all’occhiello della serie) è stata eliminata per far posto ad un paio di mappe che fungono da tutorial per la modalità multigiocatore. Sì perché Rainbow Six Siege è proprio questo: uno sparatutto multigiocatore in cui 2 squadre da 4 giocatori si affrontano per la vittoria, tutto qui. Dimenticatevi la fase di pianificazione, in Siege all’inizio di ogni match la squadra che attacca avrà un limite di tempo per utilizzare un piccolo drone radiocomandato per esplorare l’edificio in cui il nemico si è trincerato.
Ma questo Siege ha qualcosa in comune con i precedenti capitoli? Qualcosa sì, come ad esempio un ottimo realismo delle armi e la necessità della coordinazione (anche se qui è data dal fatto che una volta morti non si torna in vita). Tutto qui, perché la fase di pianificazione non esiste più, così come l’atmosfera e quella sensazione di essere sempre sul filo del rasoio.
Concludiamo parlando degli operatori disponibili, 20 in totale provenienti da 5 dei reparti speciali più famosi (GSG9,GIGN,FBI,Spetsnaz, SAS). Ognuno avrà un suo equipaggiamento (sviluppabile utilizzando i punti guadagnati giocando) e delle abilità che lo rendono più o meno utile in una determinata situazione.
Commento finale
Fino al 2005 Rainbow Six è stato il principale portabandiera del realismo, con un sistema di gioco estremamente punitivo e non molto accessibile. Questo però non impedì al titolo Red Storm di guadagnarsi una buona fetta di pubblico che salì esponenzialmente con il rilascio del terzo capitolo su PC.
Le cose sono iniziate ad andare storte con la pubblicazione di Lockdown, titolo mediocre e insipido privato dell’anima della saga ovvero la pianificazione, più tardi in seguito al rilascio dei 2 Vegas il franchise sembrava destinato a morire, almeno fino a quando Ubisoft (durante lo scorso E3) presentò il nuovo Siege, FPS multiplayer only che avrebbe dovuto riportato alla luce la saga.
Ma siamo sinceri, davvero Ubisoft pensava che uno sparatutto totalmente dedicato al multigiocatore, senza una storia, con operativi blandi e anonimi potesse risollevare il franchise? In futuro ci vorrà qualcosa in più, tanto di più.