Innamorarsi di Bioshock ancora, nonostante gli anni che passano è perfettamente possibile. In occasione del nuovo refresh della trilogia per Nintendo Switch, ci siamo seduti a tavolino e abbiamo lasciato parlare i ricordi.
Qui non si tratta di fare analisi tecniche, Bioshock non dovrebbe aver bisogno di presentazioni, ha solo bisogno di essere ricordato per l’unicità che lo contraddistingue. Dietro questo titolo c’è il lavoro di una mente geniale, c’è fantascienza, filosofia e plot vincente.
Come non ricordare quell’incidente, l’inizio di un viaggio che nessuno potrà mai dimenticare e quel faro imponente che si ergeva sulle acque oscure, contornato da fiamme e detriti. I cancelli di Rapture, la mastodontica, cupa città abissale dove tutto è concesso sono ancora oggi una pietra miliare del gaming moderno.
Niente dei o padroni, solo l’uomo
Rapture è una creazione profonda e dettagliata, piena di storie, parentesi, colori, sfarzo e devastazione che donano all’opera una forza visiva che non ha eguali nel genere, sulla quale si poggiano pochi ma potenti dialoghi egregiamente interpretati.
I colpi di scena che caratterizzano le vicende di Jack e il suo nesso con Andrew Ryan rappresentano ancora oggi un livello di coesione tra gameplay e storyline di elevatissimo pregio. Per questo e tanti altri motivi 2K Games ha preso posto nell’Olimpo dei videogiochi.
In Bioshock il giocatore compie una serie di azioni e passaggi che sbrogliano in modo naturale il nodo contorto che fa da sfondo all’intera vicenda.
Se oggi, qui, state leggendo per la prima volta di questo titolo, per cortesia prendetene una copia e rimediate al vostro più grave errore.
Oltre ad una narrativa eccezionale il gioco vanta la presenza di un elemento che ha rivoluzionato il sistema di gioco FPS: i plasmidi. Questi, che prenderanno il nome di “Vigor” nel terzo capitolo, sono dei modificatori genetici che ci permettono di godere di potenziamenti devastanti (gli elementali) o di controllo (come la telecinesi) che donano dinamicità all’intero gameplay.
Sparare non è frutto di un insieme di calibrazioni, la leggerezza e la semplicità che caratterizza il sistema di shooting è in realtà un punto di forza che sottolinea le proprietà ibride di un gioco che si posiziona a metà tra un adventure game e un FPS.
La città sommersa fa da sfondo sia al primo che al secondo capitolo della saga, quest’ultimo più debole del primo ma comunque degno di essere giocato.
Tra gli elementi presenti nelle vicende ricordiamo la figura delle “sorelline”, bambine geneticamente modificate e condizionate al livello mentale alla raccolta di ADAM, una sostanza composta da cellule staminali in grado di modificare l’organismo che la ospita donando abilità incredibili ma anche deformazione e follia.
Ritorno a Rapture
Nella seconda storia si soffre molto la mancanza della figura di Andrew Ryan, villain profondo e carismatico che aveva donato brio al primo titolo. In questo atto vestiamo i panni di un Big Daddy, uno dei giganteschi omoni messi a guardia delle grottesche bambine, che tanto ci avevano fatto penare nella prima storia, alle prese con la ricerca della sua sorellina.
Seppur non donando novità alla struttura del gioco, Bioshock 2 aumenta la densità delle storie che si intrecciano in Rapture raccontandoci l’agghiacciante verità che si cela sotto i giganti di ferro.
Dall’abisso ai cieli
Le cose cambiano in Bioshock Infinite, ultimo capitolo della serie. Qui siamo di fronte a un cerchio narrativo di uno spessore impressionante, che sfida i più dotati nella sua completa comprensione.
In questa storia compaiono elementi come il razzismo ma anche religione e lotta tra classi dove, come sempre, i lavoratori sono in netto svantaggio. Rapture viene messa da parte e la vicenda si svolge a Columbia, città fluttuante.
Dall’abisso ai cieli, con la stessa aria densa di decadenza. Rapture appare già distrutta, Columbia prossima al punto di non ritorno. La vicenda si basa sul parallelismo delle azioni, sul perenne “What if”, dove da un lato ci siamo noi, Booker DeWitt e dall’altro, Zachary Hale Comstock. Vite parallele che danzano vicine senza mai toccarsi in un intreccio di scelte diverse. Nemici di noi stessi, intimi conoscenti sia del male che del bene.
Infinite si poggia su una struttura simile a quella dei titoli che lo precedono, con qualche nota di freschezza volta ad aggiungere frenesia al combattimento e un ambiente più luminoso. Ma nonostante il sole questo capitolo riesce con facilità a prenderti a calci nello stomaco.
Riesce a raccontare la storia di un solo uomo mettendo in risalto quanto basta da renderla personale ma rimanendo al contempo vago per permettere al giocatore di trovare punti di affiliazione, plasmandolo nella vicenda.
Alla serie di Bioshock viene riconosciuto il pregio di uno storytelling di unica fattezza abilmente adagiato su una struttura di gioco dal quale non ci si aspetterebbe un tale coinvolgimento, come se penna e pixel fossero la stessa cosa e il tutto sfocia in un’armonia che rende l’esperienza videoludica sublime. Bioshock, dopo tredici anni dal primo capitolo, si difende ancora e rimane un must have nella collezione di qualsiasi videogiocatore.