27 anni, cinque capitoli principali, numerosi spin-off ma un solo protagonista. Più o meno. Doom è una di quelle saghe che può vantarsi, a tutti gli effetti, di aver consacrato un genere dalla sua (non così lontana) uscita nel dicembre del 1993. Ai tempi era ovviamente un passo tecnologico incredibile, dato che si passava dai livelli quasi bi-dimensionali di Wolfenstein 3D ad una ambientazione del tutto in 3D, fatta eccezione per i nemici rappresentati da semplici sprite. Negli anni non è solo la grafica ad essersi evoluta, ma anche il suo protagonista e, con esso, tono e ambientazione.
L’uomo qualunque contro l’inferno: il Doom Guy
Uno degli approcci più particolari del gioco di id Software è quello al suo protagonista: il “Doom Guy”. Letteralmente, il “tizio di Doom”. Anonimo, silenzioso (se non per qualche grugnito), il nostro pistolero spaziale era semplicemente un soldato di stanza su Marte, che si ritrova suo malgrado ad affrontare l’invasione demoniaca. La caratterizzazione qui è davvero nulla, per una visione ben precisa degli sviluppatori. John Carmack, programmatore storico di id Software, non ha mai nascosto il fatto di ritenere la storia del tutto secondaria nei videogiochi. È difficile parlare di un protagonista o di un tipo di narrazione, data la scarsità di dettagli: ci siamo noi, il Doom Guy, e i demoni. L’unico, piccolo, dettaglio fornitoci è la morte dell’animale domestico del protagonista, la coniglietta Daisy, che fa la sua comparsa unicamente in un’immagine d’intermezzo. Le musiche, firmate da Robert Prince, sono di forte ispirazione rock, grunge e metal, con tributi più o meno palesi alle canzoni dell’epoca. Una perfetta cornice per l’azione nuda e cruda di Doom I e Doom II.
Il soldato: il Doom Marine
Nel 2005 fa la sua comparsa Doom 3, reboot della serie, modernizzando il titolo e stravolgendone un po’ le idee alla base. In questa incarnazione siamo infatti alle prese con un’ambientazione decisamente più horror, nonostante le meccaniche rimangano ben salde nel genere degli FPS. Luci scarse, aree in cui l’ossigeno scarseggia, zombie che escono dagli angoli, corridoi imbrattati di sangue. La devastazione dell’inferno sulla base marziana è terribile e lascia ben poco all’immaginazione. Soprattutto quando troverete gente squartata appesa ad un muro che continua ad urlare, nonostante la logica consigli che dovrebbe essere morto da un pezzo.
A fronteggiare questi orrori, troviamo sempre lo stesso taciturno protagonista, ma delineato diversamente in qualche modo. Nei brevi video di intermezzo la visuale si sposta e ci permette di vedere il Doom Marine: ne vediamo volto, armatura ed armi. Non è più un “tizio” che si ritrova in una guerra dimensionale, ma un soldato. Addestrato e ben armato, col compito di fermare l’avanzata degli inferi. Per farlo, verremo guidati da altri personaggi da un obiettivo all’altro, scoprendo l’ennesimo cospirazione ai danni dell’umanità. Una via di mezzo, tra il ’93 e quello che vedrà la luce nell’ultimo “reboot” (se capite cosa intendo). Compare infatti una vera e propria trama, in cui prendiamo parte attiva distruggendo un demone dopo l’altro e assicurandoci che non si apra più alcun portale per gli inferi. Ad accompagnarci, una colonna sonora metal ben più pesante dell’originale, con cori dal sentore demoniaco e chitarre distorte che arricchiscono ulteriormente l’atmosfera.
L’epica: il Doom Slayer
Dobbiamo aspettare ben 11 anni per un nuovo capitolo ma l’attesa sarà del tutto ripagata. DOOM rinasce ancora una volta reinventandosi nelle meccaniche ma rimanendo fedele all’idea iniziale: velocità, armi, demoni. Ciò che cambia radicalmente però è il modo in cui veniamo lanciati in questa nuova ambientazione. Non siamo più tizi qualunque, né soldati alle prese con qualcosa di più grande di loro. Siamo “l’Uccisore del Destino”, sia uomo che divinità. Non siamo più noi a temere i demoni, come nel capitolo precedente, ma sono loro a temere noi. Recuperando i vari documenti interni al gioco, scopriamo infatti che lo Slayer è rimasto per un numero indefinito di anni (forse decenni, o secoli) a combattere negli inferi. Ha ucciso entità primordiali, ha combattuto l’incarnazione del male, distruggendola con poco più che una spada.
Il tutto assume dei toni ancor più epici in Eternal, dove tra gli umani si crea una sorta di mito dello Slayer, per loro poco più di una figura misteriosa ma in grado di dar battaglia, completamente solo, agli inferi. Il giocatore è, a tutti gli effetti, messo nei panni di una furiosa ed inarrestabile divinità. La trama, per quanto messa principalmente come sfondo all’azione frenetica, ha tutto un suo spazio ed una narrativa semplicemente unica. I toni e le atmosfere quasi mitologici si incastrano perfettamente con lo scontro infernale, dandoci uno dei migliori FPS (a coronamento della saga) dell’industria videoludica. Perfino la musica rinforza i toni rabbiosi ed epici, grazie ad un capolavoro sonoro firmato Mick Gordon.
È interessante notare come, nonostante i numerosi punti in comune tra i vari capitoli, ogni incarnazione di Doom sia riuscita ad acquisire un’identità unica rispetto agli altri episodi, schiacciando perfino l’occhio all’horror. C’è da chiedersi a questo punto in che modo tenterà di stupirci in futuro questa storica saga.