Mai portare un carro armato a uno scontro a mecha.
Ritorno alle origini
In un modo o nell’altro, i titoli direttamente o indirettamente ispirati ai table-top continuano a finire sulla mia scrivania.
Prima i CYOA di FFL, poi Talisman, e adesso c’è Battletech.
Prima che qualcuno protesti e dica che questo l’aspetto del tabletop non ce l’ha, verissimo – a prima vista Battletech ricorda più un RPG in tempo reale, mentre per le meccaniche dentro e fuori alla battaglia ricorda ben più da vicino i recenti X-Com della Firaxis.
L’immagina parla più o meno da sola, in fondo. Timer per missioni, riparazioni e/o costruzioni? Personale da livellare con varie perk e che può essere ferito o perso in missione? Base più-o-meno mobile da migliorare con tempo e risorse, gestione delle quali è tanto vitale quanto l’acume tattico?
Tutto questo suona pericolosamente familiare… ma non il motivo che si possa pensare.
Ritorno alle origini
La Harebrained Schemes non ha copiato, per il suo Battletech.
Perché avrebbe dovuto, quando aveva già l’originale Battletech e il suo creatore, Jordan Weisman, nel team?
Per i veterani del tabletop Battletech sembrerà immediatamente molto familiare, persino più di quanto faccia per quelli che l’hanno additato come un X-Com coi mecha, e il motivo è che è stato Battletech per primo a ‘codificare’ quelle meccaniche, in un’epoca ormai lontana in cui il computer gaming era un nebuloso e indistinto concetto nella mente dei game designers.
Dalle sottigliezze del sistema di combattimento alle meccaniche di progressione che si vedono nel gioco e tanto hanno fatto urlare allo scandalo, l’aderenza al set di regole e approcci del gioco da tavola originario è notevole quanto stringente; quelle poche eccezioni commesse, come nel caso del dover ‘solo’ recuperare tre pezzi di un mech per ottenerlo del tutto, lo sono per il sacrosanto motivo di rendere l’esperienza di gioco più scorrevole, tagliando le complessità eccessive che nel format originario di wargame avevano una raison d’etre e che in quello moderno avrebbero finito solo per appesantire l’andamento del gioco.
Il risultato finale è uno dei migliori esempi di streamlining degli ultimi anni, e un gran bel gioco anche in virtù di ciò.
Parliamone, allora.
MercWarriors
Le radici da role playing game emergono piuttosto rapidamente in Battletech. Giusto il tempo di vedere i filmati iniziali, e si comincia con la creazione della scheda del personaggio:
Il sistema non è particolarmente complesso, qui: mettendo a disposizione una serie di opzioni, è possibile comporre una backstory per il nostro protagonista che, all’atto pratico, gli conferirà opzioni di dialogo particolari per momenti di trama o eventi e alcuni bonus statistici.
Minmaxare non è necessario, considerata la relativa facilità nel recuperare quelle differenze iniziali tra le statistiche, ed è consigliabile scegliere piuttosto quel che sembra più congeniale; dall’altro lato, è pur vero che quelle opzioni ‘di lignaggio’ differenti non hanno avuto un’impatto all’infuori di qualche battuta alterata, di certo non un impatto tangibile.
I primi assaggi dello spessore meccanico di Battlemech si hanno invece già nel tutorial, ben congegnato da un punto di vista narrativo e piuttosto chiaro dal punto di vista del giocatore che approccia il sistema per la prima volta: nonostante gli ingranaggi parte di questa grande macchina siano molti e scordarsene può facilmente risultare in una catastrofe (eg. sparare con tutte le armi assieme giusto per andare in surriscaldamento critico in mezzo ad un branco di nemici), sono presentati in maniera piuttosto chiara e intuitiva.
Tutto, dal loadout dei propri mech all’impatto che ha il terreno sulle chances di colpire, è facilmente accessibile tanto al mouse quanto alla comprensione del giocatore inesperto: raro è il turno andato completamente a catafascio per cause esterne alla nostra volontà, e se i nostri mech diventano fuochi d’artificio all’improvviso abbiamo noi stessi da incolpare più che bizzarri algoritmi.
Posizionarsi meglio, sfruttare meglio l’ambiente, scegliere le armi giuste, avere più loadout e più piloti per fronteggiare ogni occaisone, sapere quando stare sulla difensiva e quando andare all’assalto – l’atto della preparazione allo scontro è divertente quanto lo scontro in sé, e i preparativi prendono la stragrande maggioranza del tempo passato al quartier genrale.
La cosa non dovrebbe sorprendere, considerata la pletora di opzioni d’arma, di moduli ausiliari e di mech a disposizione; l’imbarazzo della scelta è reale, ed è un bene per un gioco i cui reali protagonisti sono i mech della nostra Lancia e la maggior parte delle opzioni sono del tutto viabili.
Improvvisa, adattati, supera
Naturalmente, ‘viabile’ non vuol necessariamente dire ‘buono’.
Battletech fa del suo meglio per tenere il giocatore sulle spine: le missioni di storia hanno sempre qualche (s)piacevole sorpresa per non farci sentire troppo sicuri, le missioni regolari tendono a variare i parametri per impedire di essere sempre preparati al massimo contro ogni evenienza.
E, naturalmente, dispiega quasi ogni volta più mezzi di quanti possiamo fare noi, limitati a soli quattro mech per incarico.
Questo è uno dei pochi casi in cui l’aderenza al materiale originario gioca contro Battletech: il numero di unità dispiegabili nel tabletop è anche lì quattro, ma il vincolo non è imposto solo ad un giocatore e, presumibilmente, lì non si ha un’intera base mobile con oltre 15 baie per mech completamente operative.
Frustrante, sì, ma col tempo s’impara ad apprezzare sia la difficoltà addizionale nel dover respingere assalti da nemici in superiorità numerica, sia il senso di potere e soddisfazione che dà il vincere in condizioni simili; soprattutto contando come l’IA abbia l’intelligenza e l’astuzia per giocare le proprie unità al meglio secondo le loro forze, senza ricevere aiuti esterni alla semplice abilità.
Ciò che montano gli avversari può essere montato anche da noi, una volta saccheggiato (si spera) dai rottami nel post-missione, ed è così che si progredisce come giocatori e come capi mercenari in Battletech: avere i team migliori del settore è un’obiettivo per entrambi, prima ancora della non troppo avvincente storia che, per quanto magnificamente illustrata e corredata di un’ottima colonna sonora, non ha grandi meriti all’infuori di presentare uno scorcio dell’universo Battletech in alta definizione.
In conclusione
Creato e diretto dallo stesso uomo che decenni addietro ha dato vita alla serie, Battletech è una resa così fluida ed attuale del tabletop che ha introdotto lo sci-fi nella nascente scena del war-gaming da sembrarvi completamente estraneo.
Indiscutibilmente Battletech nell’estetica, nelle trame, nel combattimento e negli eponimi ‘mech, il gioco bilancia perfettamente tra le complessità e i dettagli intrinsechi di gioco di guerra a miniature con l’immediatezza del PC e degli strategici a turni – col risultato di garantire tutto lo spessore meccanico e le possibilità di personalizzazione del gioco originario senza comprometterle.
I pochi punti a sfavore consistono nell’essere limitati a soli quattro mech per missione e il poco rilievo dato a sistemi ancillari potenzialmente interessanti come la reputazione e l’ampliamento della propria base.
Fortemente consigliato ai veterani della serie, ma anche a coloro che hanno apprezzato gli strategici a turni più recenti e desiderano provare qualcosa di degno e non sia la solita sbobba fantasy.