Gli horror di produzione indipendente hanno intasato il mercato dei videogiochi negli ultimi dieci anni, spinti da piattaforme come YouTube e Twitch che da sempre strizzano l’occhio a questo genere di giochi. Fortunatamente, negli ultimi anni, un pilastro del mercato come Capcom ha voluto riappropriarsi del proprio scettro, riportando agli antichi fasti il brand di Resident Evil. Tuttavia c’è ancora qualche studio indie che crede nell’utopia di poter reggere il confronto e tra questi troviamo i Bloober Team. Lo studio con sede a Cracovia si è infilato di prepotenza nel mercato 2 anni fa, con un gioco che vuole offrire qualcosa in più rispetto a qualche jumpscare ben orchestrato e manicomi abbandonati: Layers of Fear.
L’anima horror dell’arte
Nel 2019 i produttori polacchi tornano con la seconda incarnazione di un gioco che ha fatto parlare di sè, forte di un originalità narrativa e contestuale che l’ha reso un cult per gli appassionati di opere videoludiche terrorizzanti.
Se il primo episodio di Layers of Fear era incentrato sulla pittura, il sequel vuole rendere la settima arte il nucleo attorno al quale si sviluppa la trama. Il filo narrativo è ingarbugliato a dovere e proseguire nel gioco significa svolgere il gomitolo di lana ed apprendere quello che è il ruolo del protagonista in un mondo psichedelico. La narrazione ci spinge a ragionare attorno al tema della “costruzione del personaggio” facendoci entrare nei panni di un protagonista di un film diretto da un regista folle e visionario.
Uno sguardo troppo prolungato ai pilastri dell’horror
Il citazionismo la fa da padrone all’interno di Layers of Fear 2, che vuole rendere omaggio sia a maestri del settore, quali un certo Hideo Kojima e il suo breve ma intenso P.T. , sia al cinema di genere, soprattutto di stampo orientale. Man mano che si prosegue nell’avventura diventa sempre più chiara l’ispirazione tratta da capolavori del grande schermo quali The Ring o The Grudge. Il riferimento alle sopracitate opere talvolta però supera limiti oltre il quale sarebbe meglio non avventurarsi, sfociando in un ovvietà quasi stucchevole. Il gioco, infatti, seppur guardi al nuovo e faccia prendere boccate d’aria fresca al mercato, si perde in banalità fin troppo inflazionate.
L’impostazione di base è totalmente ispirata al sopracitato P.T.. Il gioco inizia in medias res all’interno di una nave abbandonata. Fin da subito ci si rende conto che l’ambiente attorno a noi è dinamico ed anche solo spostare l’inquadratura potrebbe cambiare totalmente lo scenario che ci circonda. Esattamente come P.T. le porte non conducono laddove ci si aspetterebbe, dando un senso di totale disorientamento alla persona con il gamepad in mano. Disorientamento che però viene meno dopo la prima mezz’ora di gioco, quando ci si rende conto che l’esplorazione è impostata su binari, al di fuori dei quali si ha una libertà limitata all’osso. Raramente infatti verremo assaliti da una sensazione di smarrimento, essendoci quasi sempre una sola strada percorribile.
Originale o banale?
Layers of Fear 2 non vuole proporre il solito survival horror, ma rischia tutto facendo “all in” sulla narrazione e sulla risoluzione di enigmi piuttosto che combattimenti e recupero di risorse. Gli enigmi rappresentano l’unico vero ostacolo da superare per riuscire a vedere a schermo la scritta “ THE END”. Sicuramente essi non costituiscono nulla di invalicabile, ma la loro risoluzione fornisce un piacevole senso d’appagamento. Lo sviluppo della trama si basa sulla scoperta di elementi sparsi per il gioco, il cui recupero fornisce importanti informazioni sul luogo in cui ci troviamo e sullo scopo del nostro protagonista. Lo sblocco degli achievement inoltre regala informazioni utili a completare il puzzle narrativo e dare un senso all’esperienza. Un plauso va dunque all’uso sapiente di questi ultimi, che trovano un utilità ulteriore rispetto al mero collezionismo.
Purtroppo Layers of Fear 2 non riesce a non cadere in clichè inflazionati del mercato horror, come sequenze di inseguimenti da parte di figure inquietanti e minacciose. Più ispirati sono invece i tratti che richiamano elementi di platforming, in cui dovremo districarci attraverso ostacoli ambientali. Questi ultimi rappresentano un raro respiro a pieni polmoni per un titolo “asmatico” dal punto di vista del gameplay.
Un raro esempio di Indie tecnicamente ineccepibile
Tecnicamente il gioco non ha nulla da recriminare. Le ambientazioni sono ben curate e costituiscono l’elemento principale di suggestione durante l’esperienza. Il sistema dei comandi risulta inizialmente legnoso, ma trova il suo perchè associato ad una vibrazione del controller che contribuisce nel generare il sussulto di chi vive i rari ma ben piazzati jumpscare.
Conclusione
Sicuramente rispetto a tanti titoli indie la produzione del Bloober Team si difende alla grande, proponendo se non altro delle riflessioni inedite nel panorama horror legate al tema dell’arte. Ciò non basta però per confezionare un gioco adatto al grande pubblico, rimanendo dunque una perla opaca apprezzabile solamente da chi cerca delle esperienze adrenaliniche legate ad un contesto narrativo profondo e ben architettato.
Il videogioco è disponibile in digital download per Xbox One, Ps4 e PC. Se sei rimasto colpito dall’ottima colonna sonora di Layers of Fear 2 puoi acquistarla su Amazon.