Grazie SotA, per un attimo ci ero quasi cascato.
Benvenuto, Avatar
Il primo impatto con SotA e Britannia – pardon, New Britannia – è sempre un po’ straniante.
Guardate qua. Un misterioso oracolo che sembra l’Adjutant di Starcraft o una particolarmente indiavolata SHODAN? Un mondo perlopiù alto-fantasy medievale europeo, ma con varchi lunari, rune e ankh ovunque? E che ci fa quell’architettura giapponese nel bel mezzo di un castello altrimenti normalissimo?
E cos’era quella parte all’inizio col tipo che entra nel computer?
La normalità, ecco cos’è – tanto per questo mondo, tanto per quelli di una lunga e onorata serie, che sotto alla trita patina di fantasy tradizionale include con naturalezza elementi di rottura come i richiami al mondo ‘reale’ e la connessione tra i due piani, il sincretismo culturale che origina bizzarrie come la città sopra, il mythos e l’ethos sviluppati nel corso di interi giochi che richiamano alla distante i miti della creazione e i precetti religiosi della Terra ma interpretati sempre sotto ottiche diverse e con diverse metodologie…
… e poi ci sono piccole chicche come queste che, pur essendo meno ‘serie’ (ma giustificate, secondo alcune teorie), finiscono sempre per strappare una risata.
In parole povere, Shroud of the Avatar (da qui in poi SotA) è strano, e cosa migliore la sua stranezza non si limita al mondo – anche se non è immediatamente visibile.
Avatar e Avatar
Per quanto la mia opinione di SotA sia perlopiù positiva, dire che ho gradito tutto il tempo che ci ho passato sarebbe una grossa esagerazione – anzi, prima che il gioco cominciasse a ingranare, levare i blocchi e lasciarsi vedere più a fondo sono stato più volte sul punto di lasciar perdere, disinstallare e cominciare a riversare vetriolo.
Ignorando per un momento la mia adamantina certezza che SotA abbia martoriato la mia vecchia GPU, i motivi pienamente legittimi per farlo non mi sarebbero mancati, tutto sommato.
Al primo impatto l’ambientazione pare interessante e curiosa e particolare e tutto, e lo è, ma poi il gioco decide di tenere il materiale interessante e curioso e particolare ben lontano dalle zone iniziali, che sono la solita vecchia sbobba fantasy con profezie oscure e non-morti e banditi e cultisti.
Profezie oscure, peraltro, per cui SotA fa poco e nulla per guidare il giocatore.
Le mappe, per quanto tutte vaste e piuttosto caratteristiche, hanno tutte il frustrante difetto di non avere indicazioni di sorta – niente frecce, niente markers, niente autopathing, nient’altro che il buon vecchio leggere quel che dicono gli NPC, farsi un’idea e pregare che sia quella giusta.
E se da una parte si può apprezzare il richiamo meccanico a un’epoca priva di questi strumenti, in cui leggere i dialoghi e l’immersione erano non solo gradito ma fondamentale, dall’altra c’è la crescente irritazione del non riuscire a trovare quale sia il benedetto luogo indicato, seguita dal girovagare a casaccio.
Un esempio oltremodo fastidioso di ciò può bene essere una delle prime quest che s’incontrano dopo l’inizio, dove un soldato ci chiede di procaccargli del legname – una rapida introduzione al crafting. Okay, niente di che. Sembra piuttosto facile…
… Finché non si realizza che quegli alberi non sono affatto distinguibili dagli altri ed è necessario esserci a portata d’abbraccio per vedere se possano essere abbattuti o meno. Ciò che è più strano è che altre risorse avevano delle outlines di sorta, per rendere chiaro che fossero estraibili, ma non queste.
Forse è un bug, forse è intenzionale; difficile a dirsi, avendo trovato pochi altri giocatori cui chiedere e nulla d’utile sui forum, ma sta di fatto che ha dato una terribile prima impressione. Il combattimento tab-targeting piuttosto basilare e la carente ottimizzazione grafica ha giusto peggiorato le cose, contribuendo a quella che sarebbe potuta essere una stroncatura netta.
E invece…
Ad un certo punto, qualcosa nella mia mente è scattato.
Più volte, nel corso della prima parte della mia ‘avventura’, mi sono chiesto se stessi facendo qualcosa di sbagliato. Ostensibilmente no, i controlli sono quelli e le meccaniche pure, gli MMO funzionano tutti più o meno alla stessa maniera, giusto? Ci sono cosette particolari, come l’assenza di livelli ed exp classica e il sistema dei dialoghi, ma quelli sono giusto callbacks, no?
Beh… sarebbe giusto se SotA fosse uno di quegli MMO.
Nonostante l’aspetto, i controlli, le meccaniche di superficie e così via, SotA ha più in comune con la serie di Ultima – una serie di RPG single-player basati su narrativa, esplorazione e sperimentazione, prevalentemente – che con gli MMORPG.
In questa ottica, e presa coscienza del fatto che SotA non voglia tenere per mano all’infuori dei primi tutorial, diventa evidente che il problema fondamentale fosse di prospettiva.
Se esplorare e sperimentare è effettivamente parte importante dell’esperienza, come i dialoghi e gli indizi vaghi delle quest lasciano supporre (e la buona presenza lungo le mappe di curiosità, sotto-quest, luoghi notevoli confermano), la ‘perdita di tempo’ smette di essere tale: non c’è una reale corsa all’endgame, dopotutto, non essendoci obiettivi definiti se non quelli alquanto laissez-faire della storia e quelli che ci si impone.
Anche nella creazione del personaggio e della build si vede questo aspetto, meglio nella seconda che nella prima (la strumentazione per la personalizzazione dell’aspetto è piuttosto solida e completa, anche se non esattamente strabiliante): non esistono build vere e proprie, non esistono classi e non esistono livelli veri e propri all’infuori di quelli che si consegue con la pratica di quelle varie discipline.
Se il concetto richiama Morrowind, Oblivion o Skyrim in particolare, col suo ramo di abilità per ogni disciplina, impossibile dar torto – la base è molto affine, ma anche qui SotA apporta il proprio peculiare tocco espandendo considerevolmente ogni singola disciplina, caratterizzandole ognuna con un playstyle particolare e facendole interagire in maniere altrettanto particolari con le altre o con l’ambiente (eg. le magie del sole e della luna, più forti o più utili rispettivamente durante il giorno o la notte, o della vita e della morte, più forti quando non s’è inflitto danno di recente o l’opposto) e soprattutto permettendo di ibridarle liberamente.
Persino il combattimento, ad una seconda analisi, risulta più profondo di quanto sembri – rimarrà pure tab-targeting e (quasi) privo di penalità per il backpedaling, da sempre gioia e delizia dei ranged, ma è possibile combinare glifi magici per creare combinazioni di effetti particolari ed è scoraggiato lo spam ignorante di abilità, insieme ad altre sottigliezze assenti in MMORPG ‘puri’ più famosi.
E naturalmente, ad attendere il giocatore oltre al combattimento c’è anche il crafting, la costruzione e il possedimento di proprietà (o villaggi interi) nel mondo, e molte altre attività familiari ai veterani di Ultima Online.
Davvero notevole, insomma – si fa per dire.
In conclusione
Shroud of the Avatar: Forsaken Virtues (o SotA) è un MMORPG piuttosto unico nel suo genere, degno di nota e soddisfacente, ma che va preso con le pinze.
Cercare di approcciarlo come si fa con i comuni themepark MMOs è un esercizio in futilità e frustrazione: le linee guida sono scarse, i tutorial poco comprensivi, le quest sono vaghe, quasi tutto è lasciato all’iniziativa e sperimentazione individuale, all’esplorazione e all’interazione col mondo e con chi lo abita, PG e PNG.
Se questo sia un bene o un male, dipende perlopiù dal giocatore: di certo non manca la complessità meccanica, lo spessore dell’ambientazione e della lore, né tanto meno le attività a disposizione.
La domanda principale è, avete il tempo e la pazienza di esplorare quelle profondità?