La serie dei Nonary Games è stata una sorta di cult per lo scenario giapponese ed occidentale. Da 9/9/9 fino a Zero Time Dilemma, che avevamo già recensito, i giocatori si sono trovati a risolvere enigmi mentre dovevano compiere difficili scelte morali per arrivare alla fine di un sadico gioco. Il tutto veniva inserito all’interno di una complessa trama apocalittica che prevedeva la fine del mondo da parte di un’organizzazione terroristica.
Ci ritroviamo dunque a rivivere le esperienze di Zero Time Dilemma su PlayStation 4 attraverso una versione graficamente più pulita e dettagliata. Si tratta proprio dell’ultimo capitolo della trilogia dei Nonary prodotta da Spike Chunsoft, cronologicamente antecedente a Virtue’s Last Reward ma praticamente un sequel di quest’ultimo. Da questa affermazione è già possibile comprendere che, effettivamente, per apprezzare al meglio Zero Time Dilemma è necessario aver giocato agli altri due videogiochi della serie.
Le mie aspettative nei riguardi di questo gioco (e della serie) sono sempre state alte e, anche stavolta, non sono state affatto deluse sia dalla qualità dei dialoghi, sia dalla difficoltà degli enigmi (morali e non) presenti nel titolo. Senza ulteriori indugi, recensiamo nuovamente questa serie per vedere come ha retto il passaggio a PlayStation 4!
Il gioco delle decisioni
Parlare della trama di Zero Time Dilemma è più complesso di quanto possa sembrare. Questo perché, effettivamente, si tratta del capitolo che rappresenta l’atto finale della serie e per questo converge tutte le trame in un unico grande “Decision Game” conclusivo. Se dovessi raccontarvi tutta la storia dei Nonary Games dall’inizio, probabilmente finirei lo spazio disponibile anche solo per le varie premesse. Perciò cercherò di darvi un quadro generale sull’ambientazione di fondo, lasciando a voi il piacere della scoperta.
Iniziata con 9 Hours 9 Persons 9 Doors, la serie di “Zero Escape” ruota attorno ad una situazione uguale per ogni gioco: delle persone intrappolate in un ambiente chiuso ed isolato che devono sopravvivere ad un gioco sadico e crudele. La tematica principale è basata sulle scelte morali che coinvolgono il sacrificio altrui per la propria sopravvivenza personale. Gli sviluppatori hanno infatti ideato storie che vanno ad esplorare le emozioni più oscure dell’animo umano, dando vita a massacri ed omicidi in favore dell’egoismo naturale derivante dall’istinto di preservazione.
Tutti i giochi vengono orchestrati da una losca figura che fa da catalizzatore per le orribili situazioni che i giocatori vivono, cercando di portarli alla disperazione con enigmi letali che mettono alla dura prova la sanità di chi li deve risolvere.
Zero Time Dilemma non è differente da questo filone, ed infatti vi ritroverete a gestire tre gruppi di tre persone che devono cercare di sopravvivere all’interno di un bunker nucleare utilizzato come “parco giochi” da questo cerusico di nome Zero Secondo. Per uscire da questa prigionia, sei persone dovranno morire al fine di rilasciare delle password utili per i tre che rimarranno ancora in vita. Solo sporcandosi le mani di sangue sarà possibile aprire la porta verso la libertà. Il problema risiede appunto nella volontà di diventare degli assassini proprio per sopravvivere. Pensatela come una sorta di “Grande Fratello” splatter, il sogno di molti dei lettori di questo articolo.
Già da queste poche righe si può comprendere il grande lavoro di costruzione psicologica dietro la serie Zero Escape, soprattutto se si considera la mole di “percorsi alternativi” che ogni scelta può formare. Ciò ci permette di osservare ogni direzione del gioco e di scoprire, effettivamente, il percorso più idoneo per la verità. Quest’ultima è effettivamente la vera trama della serie, la quale verte sull’azione di un gruppo terroristico che ha intenzione di distruggere il mondo rilasciando globalmente un agente virale psicotropo. Naturalmente il tutto risulta molto più complesso di così e Zero Time Dilemma lascia intravedere qualcosa, spiegando giusto il minimo necessario in relazione ai viaggi nel tempo, la dimensione alternativa e via dicendo.
Tali nozioni vengono dispensate ai giocatori che non hanno mai toccato gli altri titoli proprio perché il cast di questo gioco è composto da persone apparse nella saga. Una vera e propria festa per i fan di lunga data e totalmente indifferente per chi invece è nuovo.
Giocandolo come “utenti navigati”, ci si rende conto che il comparto narrativo è uno dei migliori dell’intera serie. Non solo per via dell’eccellente caratterizzazione del cast, costruita nel corso dei tre giochi, ma anche perché il team di sviluppo ha davvero calcato la mano con l’impatto morale e brutale di ogni elemento della storia.
Ci si ritrova in un continuo crescendo che si districa tra le tre squadre in maniera superba, invogliando il giocatore a volerne sapere sempre di più su quello che succede negli altri team mentre, allo stesso tempo, gli viene fornito il controllo totale su di essi. Tale meccanica rende possibile il dispiegarsi della storia secondo le proprie scelte personali e questo è un elemento essenziale per rendere in maniera “reale” le conseguenze delle proprie azioni. E fidatevi, molte di esse saranno brutali. Naturalmente, tra i moltissimi finali, ne esiste solo uno che risulta il “migliore possibile” per salvare il mondo. Esso rappresenta il vero scopo del gioco, quello a cui si dovrebbe aspirare mentre si sopportano indicibili crudeltà.
Zero Time Dilemma riconferma, ancora una volta laddove possibile, l’ottima capacità di scrittura dei creatori dietro la serie. Una conclusione degna, chiara e spettacolare di una trilogia che ha sempre mantenuto standard qualitativi altissimi nonostante alcuni titoli concorrenti molto accaniti.
Chi di puzzle ferisce…
Naturalmente la risoluzione di enigmi è l’unico elemento di vero e proprio gameplay presente nel titolo. Il giocatore si ritroverà dunque in stanze chiuse alla ricerca di un metodo per uscirne e sopravvivere qualora il simpatico Zero volesse uccidervi con qualche veleno o simili.
Per scappare sarà necessario esplorare l’ambiente in cerca di indizi, risolvere puzzle e sbloccare scomparti nascosti. In questa meccanica è evidente il porting da console portatile, visto che i controlli adibiti per queste sezioni sono abbastanza ingombranti e il “campo visivo” piuttosto ristretto. Sarebbe stato meglio se quest’ultimo fosse più ampio in modo da permettere una risoluzione più rapida con inquadrature adatte a schermi grandi.
Il livello degli enigmi è piuttosto vario con picchi di difficoltà abbastanza evidenti ma non impossibili. In effetti Zero Time Dilemma propone un’esperienza adatta a tutti, imparando un po’ da quei livelli veramente ostici di Virtue’s Last reward. La chiave risiede nelle proprie capacità di osservazione, cercando di capire gli elementi che possono essere utilizzati attraverso la stanza.
L’aggiunta un po’ più marcata va a favorire l’interazione delle decisioni da parte del giocatore. Mentre prima tale caratteristica era fuori dalla parte degli indovinelli, questa volta è stata resa più centralizzata in essi prendendo effettivamente parte al processo risolutivo dell’enigma. Ciò conferisce quella sensazione di essere “impotenti” nei confronti delle torture architettate da Zero, nonostante la propria capacità di risoluzione. Il feeling è quello di uno stress test che coinvolge sia il cast che i giocatori.
Manca, per fortuna, quella componente esplorativa presente nei precedenti capitoli. Non esistono stanze eccessivamente grandi intervallate da piccoli caricamenti, piuttosto si hanno delle zone isolate dove poter tranquillamente svolgere il compito senza perdersi nei corridoi. Oltre ad eliminare un difetto piuttosto evidente della serie, accentua ancora di più l’atmosfera claustrofobica del Bunker.
Il lato “ludico” di Zero Time Dilemma è ridotto all’osso in quanto si tratta di un’esperienza più simile alle visual novel che ad altro. La narrazione la fa da padrone, così come le decisioni del giocatore che rappresentano il grosso della sua influenza nel corso degli eventi. Tale funzione marginale del gameplay può essere considerata un difetto da chi non è abituato a questa tipologia di videogiochi fortemente incentrati sul testo. Ma, se si è in grado di resistere, la qualità del gioco compensa ampiamente le carenze che possiede.
Stesso sadico stile
Sul lato tecnico vediamo invariato lo stile generale dell’opera. A livello di disegni non ci si può affatto lamentare grazie all’uso di design eccentrici al punto giusto da rendere il cast unico nel suo genere. Zero Time Dilemma presenta personaggi un po’ più normali rispetto al passato, ma allo stesso tempo aumenta le risorse utilizzate nella resa delle emozioni attraverso le animazioni facciali.
Proprio per tale motivo si hanno scene decisamente inquietanti e disturbanti, ricche di convulsioni budella e quanto altro. Il cambio di motore tridimensionale ha permesso al team di sviluppo una concentrazione maggiore nella resa dei disturbi psicologici a cui i poveri malcapitati sono sottoposti, rendendo un quadro piuttosto accurato della disperazione.
Gli ambienti e le stanze risultano però decisamente sottotono, soprattutto sul grande schermo. Mentre i personaggi hanno subito un upgrade grafico, il resto degli elementi sono stati lasciati invariati rispetto alla controparte per PlayStation Vita. Niente di eccezionalmente grave considerando il quadro generale dell’offerta, ma sicuramente si poteva fare di meglio nella conversione a console fissa.
Venendo al sonoro dobbiamo tristemente constatare il riciclaggio di alcuni brani del passato. Ora, per quanto si possa apprezzare la qualità di queste composizioni, si doveva lasciare spazio a nuovi pezzi adatti al climax che si va a creare nella sceneggiatura di Zero Time Dilemma. Invece, generalmente, le composizioni sono così dimenticabili da essere a malapena percepiti nel corso del titolo.
Evidentemente le risorse maggiori sono finite nel doppiaggio, che come al solito risulta magistrale in entrambe le lingue. Quello che vi consiglio è di utilizzare la lingua originale, il giapponese, proprio per vivere il titolo come i creatori hanno voluto realizzarlo. Non solo si guadagna un maggior pathos nelle scene, ma il coinvolgimento provato è sicuramente maggiore grazie all’enorme lavoro dei doppiatori nipponici.