La mia generazione nasce a cavallo di un imponente sviluppo tecnologico che muove i primi imponenti e robusti passi verso un mercato videoludico incerto nel quale, la generazione uscente, non può che riporre sfiducia.
Gli sviluppatori erano in grado di generare vere e proprie opere d’arte con gli allora stupefacenti mezzi tecnologici lasciando attoniti non solo quelli come me, che spalancavano gli occhi davanti a così fatta meraviglia in 8/16 bit, ma anche per i più vecchiotti che debbono ricredersi di quello che il progresso tecnologico impone.
Durante tutti questi anni narrativa e grafica sono andate a stretto contatto, a braccetto come si suol dire, per lanciare sul mercato un prodotto che raccontasse qualcosa ma che allo stesso tempo mostrasse i muscoli di una scienza informatica in continua evoluzione. Anzi, a raccontarla bene, l’ago della bilancia pendeva principalmente a favore della narrativa col solo fine di dimostrare che, come accennato in questo mio articolo, dietro personaggi inventati fatti di pixel ci fosse ben altro che il solo divertimento.
Pian piano le cose sono andate cambiando, lo sviluppo tecnologico ha mosso passi più veloci di certe idee ed inventive che hanno fatto da padrone ai videogiochi di quell’epoca, costringendo queste ultime a cedere il passo, spesso purtroppo, a una più imponente importanza grafica e della mania dei dettagli. Non importava più cosa si raccontasse, ma l’aspetto visivo di quello che si raccontava.
Produrre prodotti di qualità non era sinonimo di personaggi e storie fantastiche alle quali affezionarsi e immedesimarsi, con la speranza di rivivere un seguito il prima possibile, bensì mostrare agli occhi dei giocatori la potenza grafica in voga in quel periodo.
I dibattiti avvenuti negli anni a seguire sono stati tanti e ancora oggi è possibile imbattersi in discussioni dove diverse scuole di pensiero si scontrano su cosa sia più importante in un videogioco, narrativa o grafica: piccoli e impercettibili dettagli, quasi invisibili ad occhio nudo, affrontano a viso aperto anni di racconti e storie dentro le quali perdersi era pura magia.
L’arrivo sul mercato odierno dei cosiddetti “indie” ha aumentato, o forse diminuito, il divario tra le due caratteristiche dimostrando in molti casi di quanto una storia ben strutturata e una narrativa eccelsa siano il vero motore trainante di un videogioco, anche a fronte di una grafica non pompatissima per nulla alla ricerca della perfezione.
In questi giorni, l’entrata sul mercato della console più potente al mondo, la Xbox One X, ha gettato un po’ nel caos le mie ferme idee su di quanto la grafica sia un elemento secondario in un videogioco. E non mi riferisco all’enorme impatto visivo dovuto alla indiscutibile potenza grafica capace di essere generata da questa console, ma quanto al successo che essa ha avuto da critica e pubblico. Tutti, me compreso, a rincorrere il perfetto dettaglio grafico. Tutti succubi del 4K e bramosi della potenza grafica.
Contemporaneamente a ciò, e praticamente in secondo piano, arriva la notizia da parte di Phil Spencer di dedicare maggiore interesse alle esclusive console, col fine di creare un catalogo di giochi unico e vario capace di richiamare a sé una maggiore fetta di utenza.
Eppure questa importante quanto perpetua frase, ascoltata per diverso tempo senza alcun risultato degno di nota, è stata come una goccia nell’oceano che non ha mosso alcuna onda. Una platea in silenzio.
È vero che oramai gli standard qualitativi imposti dalla grafica odierna costringono, sotto mentite spoglie, una qualità al di sotto della quale non solo è impensabile restare ma anche impensabile da proporre.
Per fortuna però questa legge non scritta non vincola totalmente gli sviluppatori a proporre progetti e studi di elevata fattura, a discapito di una grafica non da primato, anche a ridosso del lento ma costante avanzare della tecnologia in realtà virtuale.
Eppure la domanda è lecita: se non fosse stata presentata la Xbox One X, presa in esame solo per essere la console più potente attualmente sul mercato, e fosse stato annunciato un congruo numero di esclusive non temporanee, le vendite sarebbero state comunque così alte?
Sarebbe bastato un annuncio del genere a spingere il consumatore ad investire il proprio tempo e denaro in una certa direzione?
Forse è davvero questa la generazione dove pixel e dettagli grafici schiacceranno la magia di esclusive e storie delle quali innamorarsi.